Carola Masini

Carola Masini
Testo Critico a cura di Mariaimma Gozzi

L’inspiegabile razionalmente riflette nello specchio che nell’ombra non fugge. E nella pausa cerebrale, respiro meccanico, l’inconscio affiora con la primitiva natura istintuale, informale, priva di sofismi, e annulla distanze primigenie. Allorquando a ritroso la parola si perde, scivola nell’oblio e nella centrifuga delle Ere diviene altro. Torna segno!

Quando nella Transizione Biotica, respiro contratto, e pausa geologica, nel buio impastato di silenzio scompare ogni traccia di vita, di specie, e tutto ci sembra perduto, un sottile filo di luce ci restituisce l’”Impronta Umana” cristallizzata e immutabile nel tempo. Sospesa fra scienza e trascendenza, essa rappresenta l’unica possibilità filologica e antropologica di ri-costruire la nostra storia e il nostro vissuto remoto. Mappando luoghi e circostanze, transumanze e rituali. Sono queste le premesse imprescindibili in cui incastonare l’indagine esplorativa squisitamente concettuale dell’artista Carola Masini. E nella ricercatezza minimale, che s’insinua come un fuso che assottiglia il filo analitico dell’immenso ciclo evolutivo, fatto di azioni, rivoluzioni e relazioni nel tempo, l’artista exspreme il suo sentire utilizzando il plasticismo della scultura, la fluidità della pittura, l’archètipo della grafica, la tradizione della Tessitura.

Argilla, Ceramica, Legno, Carta, Filo, Corda; materica ricerca che sviluppa nel riutilizzo la filosofia più alta di cambiare il connotato alle “cose” trovando in esse il lirismo e l’eloquenza per farne altro: “Arte”.

Nella sue composizioni ricorre spesso la linea composta dell’onda marina strappata alle
oceaniche inquietudini, e nella verosimiglianza la stessa onda desertica spogliata di vita
interiore, fra ruvide e sabbiose montagne vestite di rosso.
Nella scelta cromatica a volte alla monocromia accosta con raffinata eleganza la policromia. Lasciando spazi bianchi o neri nella complicità dell’intera composizione con cadenza ritmata, come uno spartito musicale. Circoscrive frammenti di vuoto nella vastità dell’opera, come attimi su cui permanere, riflettere, perché essi non rappresentano l’assenza come voragine imbutiforme, quanto piuttosto apertura profonda e accogliente foriera emozionale. Se volessimo affrontare il senso della pausa nell’opera d’arte, possiamo intenderlo come uno spazio necessario e significante che attrae, intriga, e invita alla reflexio e introspezione. Pausa che sottintende sospensione, destinata ad essere preludio di un nuovo segno, impronta, esistenza.

Nell’astrazione del silenzio/pausa noi incubiamo stimoli, pulsioni, pensieri metamorfici in bilico tra conscio e inconscio di Junghiana natura, come preludio all’azione. E di certo l’artista Masini non cerca un rapporto conflittuale con l’opera d’arte, focus di naturalezza e delicatezza creativa.
Nella materica ricerca sperimenta, trasforma, ricicla. Le pagine lucide e scritte d’inchiostro di una vecchia rivista o di un giornale in disuso diviene il mezzo per realizzare una Texture di raffinato senso estetico, ornato a carattere anamorfico in cui dalla superficie l’inchiostrata parola esce distrutta, scivola e torna alla matrice originaria: Segno!

Nella finezza e leggerezza della carta cucita quasi fosse stoffa ri-veste e nasce l’opera: “Come un abito”.
Distruggere e ri-creare è l’ineludibile, insostituibile incipit di Carola che trova nell’oggetto come opera d’arte più che una dicotomia una compenetrazione. E la “misura” in cui l’artista ce la presenta mi ricorda il breve saggio del teorico e architetto Adolf Loos: “Ins Leere gesprochen Trotzdem” (1962) in cui si privilegia l’utilità della produzione di oggetti/opere di forma semplice, funzionale, misurata, priva d’eccesso. Considerato uno dei fondatori del Razionalismo europeo a cui s’ispira l’architetto Aldo Rossi con un documento: “Ornamento e Delitto” pubblicato nel 1973, prendendo spunto da Adolf Loos.

Ma, quando quegli oggetti che chiamiamo cose appartengono ai nostri ricordi e rievocano memorie mai sepolte, cerchiamo di preservarli. Da questo legittimo e condivisibile sentimento nascono i “Reliquiari” ai quali C. Masini non attribuisce un significato di tipo religioso, piuttosto ne coglie la sacralità simbolica. Nei reliquiari sono mappate le identità di persone e oggetti multi-culturali. Rammentano il dove e quando per non dimenticare, si tratta di feticci, amuleti propiziatori. Essi racchiudono i nostri momenti fermati o irrimediabilmente smarriti per sempre.

Così è conservato il piccolo libro in cui c’è la devozionale preghiera del marinaio; l’amuleto di argilla appeso al filo intrecciato. In ogni cultura l’amuleto nasce votivo e divinatorio, diviene elemento di riconoscimento e individuazione parentale, segno distintivo di genere e status nella migrazione dei popoli, transumanza umana. Ed è proprio lo studio delle diverse aeree geografiche, con le molteplici etnie che la conduce verso quel femminile estroverso per tradizione, in cui nel “filo” trova il leitmotiv aggraziato e ingentilito, minimale sintesi nella vastità della perlustrazione. Nella mitologia greca il filo è l’iconografia perfetta di un genere che conserva l’astuzia, l’intelligenza, l’acume. Arianna diede a Teseo un gomitolo di lana per poter segnare la strada percorsa nel labirinto e quindi uscirne agevolmente; Penelope dipana di notte e tesse di giorno la sua tela carezzando l’idea del ritorno di Ulisse.

Che sia filo, segno, solco, l’intento non cambia e tramanda di generazione in generazione la coralità del fare, in cui la condivisione allevia, attenua, lenisce un dolore, un triste momento, una condizione, di certo meno dura se raccontata con un filo di speranza.

Nella logica del ricamo, del merletto, dell’ornato il filo è fatto di pieni e di vuoti. Torna l’assenza, la pausa, il respiro, e il tragitto fisico e mentale verso il nuovo. Dunque assenza e presenza nell’opera di Carola Masini e quel maschile e femminile complementari che appartiene a tutte le culture, interpretato nella discrezionale sensibilità, in cui riesce a trovarci dentro il totus dell’essere, ragione per cui narra anche temi sociali non facili da affrontare, come quello della Shoah, esponendo l’opera “Io sono” nella mostra “La Memoria nell’Ombra” per la Fondazione Carlo Levi – 2017, sintesi della sua indagine in perfetto equilibrio fra micro e macro cosmo.

Mariaimma Gozzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.