I TOMMASI FERRONI: Stravaganze e bizzarrie della pittura virtuosa

I TOMMASI FERRONI: stravaganze e bizzarrie della pittura virtuosa 
Mostra a cura di Mariaimma Gozzi e Francesco Petrucci

Palazzo Chigi
Ariccia
dal 27 settembre al 30 novembre 2025

ELENA TOMMASI FERRONI

La pittura iconica dell’artista Elena Tommasi Ferroni, riferisce spazi e contesti determinati in cui è possibile riconoscere gesti di una quotidianità vera, reale, certamente enfatizzata dalle cromie accese ma soprattutto dal sapiente innesto di teatralità lirica, fantasiosa, stravagante e bizzarra. Nei suoi personaggi animati sul palcoscenico della vita ella trasfonde il clima mite di distrazione, il ludico piacere sfaccendato, la passeggiata leggera ed elegante come una sfilata in passerella. È una pittura colta, ricca di spunti e simboli significanti, in quanto confortata da una ricca conoscenza della storia dell’arte.

Nell’Atelier della pittrice l’occhio s’imbizzarrisce, si lascia sedurre dai colori vividi, brillanti e festosi. E accade che nelle stranezze di atmosfere di un neo-barocco, le architetture riverberino la calda luce romana intenta a intagliare i capricci scultorei, mentre le figure di omini e giullari, di dame e damigelle, se ne lascino scaldare complici e divertite intente a coinvolgere l’altro travolto in una dimensione disimpegnata e disincantata in cui spazio, oggetti e personaggi incarnano messaggi finemente evocativi.

A volte i personaggi sono giullari ed equilibristi, complici e piroettanti che si agitano su scalinate sinuose come sciarpe mosse dal vento; essi camminano su fili rossi, sbucano e si calano da uova dischiuse, saltellano come monelli e birichini di corte con svago vezzoso di declinazione melodrammatica. Riflessioni suggestive s’impongono nei continui rimandi evocativi, di colto innesto classico, rinascimentale, e per certi versi fiammingo nella cura del dettaglio e del particolare, pensiamo al tessuto broccato veneziano o ai tappeti con decorazioni orientali, o alle nature morte in cui s’impone la minuzia.

L’artista ama circoscrivere circostanze, luoghi e stati d’animo che scongiurano la noia, a volte consumati nell’armonia di cieli pervasi di un chiarore raffaellesco, possibilista e irrimediabilmente radioso, altre scene sbucano e irrompono dai fondali neri di evidente impronta caravaggesca. E nell’originale commedia pittorica, come una farsa tremendamente vera e autentica, s’impone il rosso, leitmotiv suscettibile di sensuali orpelli e accessori, chiamato a creare quell’eros e quella estrema voluttà da far dimenticare la tragedia che in esso si cela, anzi se ne distrae invaghiti dalla sovranità immaginifica che sfida gli accadimenti per porsi al di sopra degli scongiurati eventi.

Mariaimma Gozzi

GIOVANNI TOMMASI FERRONI

La pittura di Giovanni Tommasi Ferroni è una pittura d’effetto e di beltà, eretta su dettami accademici, sempre suggestiva e intenta a stupire, tanto più quando il virtuosismo attraverso il disegno figurativo, diviene evocativo e simbolico. Esperto del DNA dell’arte, G. Tommasi Ferroni audace ed epifanico narra, in pittura e in scultura, le gesta, i caratteri e i sintomi di un genere, con artificiose atmosfere e messe in scena sul quadro, sicché la visione visionaria diviene verosimile e convincente.

Del resto l’abilità dell’artista sta nel modo in cui riesce ad attualizzare i temi epici, cavallereschi, biblici e filosofici con leggerezza, come un remind incorniciato da accattivanti architetture ora rinascimentali, ora barocche, ora neoclassiche; animate da personaggi realistici o mitologici o immaginifici. Talvolta sono minotauri, centauri e tritoni con movenze parlanti, intenti nella lotta o avviluppati a colonne, a baldacchini, a bucintori e ad altre strane diavolerie pescate nella caldera delle idee e dell’arte. Per questo non difetta di spunti simbolici e minuziosi oggetti di fattura iconografica mascherati e occultati nell’enfasi della teatralità rappresentativa.

Tutto compete alla spettacolarizzazione della realtà, come un’attitudine o come un’anomalia, per certi versi richiamando a quel The Theatre of the Absurd, tra narrativa e saggistica; Pregno di verità nei colpi di scena tra il vero e l’inverosimile, catturando lo sguardo più esigente e il pensiero più razionale a colpi d’effimero, di visionario, e perché no, di sognato. Della pittura di Giovanni, di certo il leitmotiv è l’eleganza, quella devota a non eludere il citazionismo e la tecnica formale accademica.

Anche quando s’impone l’ossimoro pittorico, dei colori; quando quei cieli azzurri e brillanti di calma esaustiva vengono bucati dalle maestose costruzione d’epoca viste dal basso o di una fuga, o di scorcio, o sghembe, sporcate di polverosi terra di Siena tra broccati svolazzanti rossi Magenta. Ed è impossibile staccarne la vista quando s’impone il colore deciso e lo straniamento della scena. L’artista infatti aderisce a quella filosofia di pittori e letterati del Magico Realismo, affermandosi nel parterre contemporaneo con la forza identitaria di un genere eloquente, innestato di tutte le arti, passando dalla pittura alla scultura, dalla filosofia alla letteratura, un ecclettismo culturale sofisticato capace di incarnare perfettamente quel Ut pictura poesis.

 Mariaimma Gozzi

  • Giovanni Tommasi Ferroni - Aurora parigina

MATER_MATUTA – AVE MARIA

MATER_MATUTA – AVE MARIA
Mariaimma Gozzi
Art curator & Editor

VERDI’S MOOD
Cinzia Tedesco
Sound Direction

MATER_MATUTA – AVE MARIA è il video d’Arte Contemporanea nato dalla collaborazione del critico d’arte Mariaimma Gozzi e la jazzista Cinzia Tedesco.
Al suo esordio in occasione del Concerto all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, esso ha letteralmente “incantato” il pubblico dell’ Auditorium, suscitando emozioni profonde nell’atmosfera evocativa, simbolica, spirituale. Le opere mostrano la bellezza femminile interiore ed esteriore, dalla dea della fertilità Latina Mater Matuta alla Venere di Palestina passando attraverso creature angeliche, eteree, mistiche. Il video, scevro di estremismi piuttosto con eleganza, è stato concepito anche con l’intento di denuncia contro la violenza di genere.

AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA ENNIO MORRICONE
Sala Sinopoli,
18 maggio 2024

Works & Artists
Giovanni Albanese
Antonio Bernardo Fraddosio
Marika Ricchi
Michelangelo Galliani
Alessandro Sicioldr Bianchi
Omar Galliani
Fabio Bix
Massimiliano Galliani

Video Editor Support Paolo Scalia

RE_FLUSSI BARENALI

RE_FLUSSI BARENALI

Gino Baffo

a cura di Mariaimma Gozzi

SCUOLA GRANDE SAN TEODORO, Venezia

Dopo aver indagato le ragioni terrestri endogene delle Barene, nella prima fase della ricerca, adesso lo sguardo di Gino Baffo coglie nuovi aspetti di quel ecosistema primordiale della laguna di Venezia. E si fa più riflessivo, poetico, conscio. Si sofferma a momenti sull’ampia varietà di flora e di specie vegetali in esse radicate, ne scorge le note olfattive e cromatiche sbocciate con la nuova stagione: la primavera. Coglie la delicatezza estetica, esteriore per arrivare all’essenza, già dai primi caldi, quando la flora ri_veste le terre affioranti, cangiando la nuda laguna in un esteso manto ora d’azzurro, ora di viola, ora d’altri colori. E quei rami secchi, tra i sedimenti limosi e argillosi carpiti durante l’inverno, restano affidati alle prime tele e ai quei primi pigmenti del tutto naturali. Adesso G. Baffo ci mostra il passaggio dall’elaborazione alla consacrazione, foriera di sintomi e conseguenze, incline alla contemplazione, allo spirituale. Del resto, non basta solo la materia trasfigurata per scivolare nell’indefinito, ora Gino interviene anche sulle particelle cromatiche affinché divengano campiture generose e fluide lumeggiature, dove lo sguardo s’invaghisce seguendo il corso del colore che cola e debordaoltre la definitezza del quadro per condurre nell’immaginifico. Ineludibile resta l’estremo afflato dei protagonisti e il processo fortemente impattante sulla superficie dell’opera e su di noi.

Ora il Limonium, che va dal rosa purpureo al violetto, chiamato anche “fiorella di barena”, si schiude vivace e prevale sul fango e sull’argilla mentre s’adagiano caldi raggi di luce vivificante all’alba e riverberi d’oro al crepuscolo, quando l’ultima luce si sofferma attimi a scandire il tempo, sotteso dall’artista, con le sottili vene dorate insinuate tra i vagheggi tonali come nelle reiteranti maree e re_flussi barenali. E quelle alghe verdi trasportate dallo sciabordio dei flutti marini s’affidano al primo appiglio limoso e le vediamo a sprazzi intrappolate lungo la struttura architettonica del quadro. Tutto compete a stigmatizzare la storia autoctona di un paesaggio e dei suoi infiniti paesaggi. Là in barena dimora la genesi, la morfologia, l’ecosistema di un habitat millenario e l’artista s’appassiona ed estrae il meglio da essa, con suadente idioma materico-pittorico trascinando noi a ri-percorrere il fascino di questa esigenza pittorica ambientale, costituita di materiale organico. Tutto ciò sottendere una potente vocazione di gesta ataviche in cui si affastellano memorie comuni a tutte le cosmogonie, intente ad ascoltare il microcosmo e macrocosmo, in riferimento ai quattro elementi primordiali. Ma ritornando su alcune premesse relativeall’interazione dell’artista sui tessuti, dopo l’avvenuta gestazione materica barenale, egli ci torna sopra -come già accennato- e c’interviene con velature di luce e sbuffi di colore -suscitando tra l’altro un favorevole approdo alla pareidolia- e le delicate trasparenze, la loro leggerezza, ci riportano alla cultura del vetro di Murano e all’antica tradizione veneziana del XIII sec. Basti osservare quelle lumeggiature bianche opache sulle tele di Baffo per trovarvi la somiglianza al vetro lattimo che sembra di porcellana. E insieme al vetro veneziano lo stupore pervade di fronte alle vene d’oro che scivolano lungo le sinuose fessure e tra i vuoti lasciati dal materiale organico sul tessuto, sembrano fiumi visti dal satellite, evocano il luccichio dei ghebbi tra le barene. L’oro giunge ad evocare l’origine artistica di Venezia, le sue vicende con l‘Impero bizantino, gli scambi con il Medio Oriente, la Siria, l’Egitto; basti fare una visita a Palazzo Giustiniani, basti visitare la basilica di San Marco per comprenderne il valore. Anche quando l’artista G. Baffo esige quei toni forti e potenti di rosso magenta e di nero seppia che si contrappongono ai delicati avorio, celeste, grigio caldo, cita l’imponderabile, l’imprevedibile, la passione che t’arriva sanguigna e cocente. Il tutto sempre accostato con una tale eleganza da farlo risultare armonioso e armonizzante, meno estremo e più condiscendente rispetto alla prima fase della ricerca, e la visione si risolve pacificata nell’animo.

In conclusione RE_FLUSSI BARENALI, la mostra dell’artista Gino Baffo, si presenta oggi a noi con oltre venti tele di generose dimensioni -compresi dittici e trittici- tese a descrivere il vissuto autoctono hic et nunc di fenomeni geologici naturali con i suoi flussi e re_flussi. Dove stavolta l’artista fa la sua parte in modo più incisivo. L’azione è rimasta la stessa dell’idea iniziale, ma l’interazione subisce il germinare di nuance spettacolari, autentiche esplosioni primaverili, da cui è possibile percepirne quasi l’essenza, e la materia giunge all’immateriale fissando financo immaginarie fragranze olfattive. L’intimità del dialogo tra la natura e l’artista si fa meno asciutta, sorge nuova linfa dalle sue stravaganze informali e dalle sue astrazioni pigmentali, humus di tutta l’indagine delle Barene di Gino Baffo.