RE_FLUSSI BARENALI

RE_FLUSSI BARENALI

Gino Baffo

a cura di Mariaimma Gozzi

SCUOLA GRANDE SAN TEODORO, Venezia


Dopo aver indagato le ragioni terrestri endogene delle Barene, nella prima fase della ricerca, adesso lo sguardo di Gino Baffo coglie nuovi aspetti di quel ecosistema primordiale della laguna di Venezia. E si fa più riflessivo, poetico, conscio. Si sofferma a momenti sull’ampia varietà di flora e di specie vegetali in esse radicate, ne scorge le note olfattive e cromatiche sbocciate con la nuova stagione: la primavera. Coglie la delicatezza estetica, esteriore per arrivare all’essenza, già dai primi caldi, quando la flora ri_veste le terre affioranti, cangiando la nuda laguna in un esteso manto ora d’azzurro, ora di viola, ora d’altri colori. E quei rami secchi, tra i sedimenti limosi e argillosi carpiti durante l’inverno, restano affidati alle prime tele e ai quei primi pigmenti del tutto naturali. Adesso G. Baffo ci mostra il passaggio dall’elaborazione alla consacrazione, foriera di sintomi e conseguenze, incline alla contemplazione, allo spirituale. Del resto, non basta solo la materia trasfigurata per scivolare nell’indefinito, ora Gino interviene anche sulle particelle cromatiche affinché divengano campiture generose e fluide lumeggiature, dove lo sguardo s’invaghisce seguendo il corso del colore che cola e debordaoltre la definitezza del quadro per condurre nell’immaginifico. Ineludibile resta l’estremo afflato dei protagonisti e il processo fortemente impattante sulla superficie dell’opera e su di noi.

Ora il Limonium, che va dal rosa purpureo al violetto, chiamato anche “fiorella di barena”, si schiude vivace e prevale sul fango e sull’argilla mentre s’adagiano caldi raggi di luce vivificante all’alba e riverberi d’oro al crepuscolo, quando l’ultima luce si sofferma attimi a scandire il tempo, sotteso dall’artista, con le sottili vene dorate insinuate tra i vagheggi tonali come nelle reiteranti maree e re_flussi barenali. E quelle alghe verdi trasportate dallo sciabordio dei flutti marini s’affidano al primo appiglio limoso e le vediamo a sprazzi intrappolate lungo la struttura architettonica del quadro. Tutto compete a stigmatizzare la storia autoctona di un paesaggio e dei suoi infiniti paesaggi. Là in barena dimora la genesi, la morfologia, l’ecosistema di un habitat millenario e l’artista s’appassiona ed estrae il meglio da essa, con suadente idioma materico-pittorico trascinando noi a ri-percorrere il fascino di questa esigenza pittorica ambientale, costituita di materiale organico. Tutto ciò sottendere una potente vocazione di gesta ataviche in cui si affastellano memorie comuni a tutte le cosmogonie, intente ad ascoltare il microcosmo e macrocosmo, in riferimento ai quattro elementi primordiali. Ma ritornando su alcune premesse relativeall’interazione dell’artista sui tessuti, dopo l’avvenuta gestazione materica barenale, egli ci torna sopra -come già accennato- e c’interviene con velature di luce e sbuffi di colore -suscitando tra l’altro un favorevole approdo alla pareidolia- e le delicate trasparenze, la loro leggerezza, ci riportano alla cultura del vetro di Murano e all’antica tradizione veneziana del XIII sec. Basti osservare quelle lumeggiature bianche opache sulle tele di Baffo per trovarvi la somiglianza al vetro lattimo che sembra di porcellana. E insieme al vetro veneziano lo stupore pervade di fronte alle vene d’oro che scivolano lungo le sinuose fessure e tra i vuoti lasciati dal materiale organico sul tessuto, sembrano fiumi visti dal satellite, evocano il luccichio dei ghebbi tra le barene. L’oro giunge ad evocare l’origine artistica di Venezia, le sue vicende con l‘Impero bizantino, gli scambi con il Medio Oriente, la Siria, l’Egitto; basti fare una visita a Palazzo Giustiniani, basti visitare la basilica di San Marco per comprenderne il valore. Anche quando l’artista G. Baffo esige quei toni forti e potenti di rosso magenta e di nero seppia che si contrappongono ai delicati avorio, celeste, grigio caldo, cita l’imponderabile, l’imprevedibile, la passione che t’arriva sanguigna e cocente. Il tutto sempre accostato con una tale eleganza da farlo risultare armonioso e armonizzante, meno estremo e più condiscendente rispetto alla prima fase della ricerca, e la visione si risolve pacificata nell’animo.

In conclusione RE_FLUSSI BARENALI, la mostra dell’artista Gino Baffo, si presenta oggi a noi con oltre venti tele di generose dimensioni -compresi dittici e trittici- tese a descrivere il vissuto autoctono hic et nunc di fenomeni geologici naturali con i suoi flussi e re_flussi. Dove stavolta l’artista fa la sua parte in modo più incisivo. L’azione è rimasta la stessa dell’idea iniziale, ma l’interazione subisce il germinare di nuance spettacolari, autentiche esplosioni primaverili, da cui è possibile percepirne quasi l’essenza, e la materia giunge all’immateriale fissando financo immaginarie fragranze olfattive. L’intimità del dialogo tra la natura e l’artista si fa meno asciutta, sorge nuova linfa dalle sue stravaganze informali e dalle sue astrazioni pigmentali, humus di tutta l’indagine delle Barene di Gino Baffo.